Comunicare l’altrove con L’Albero

Ci sarebbe molto da dire su L’Albero. Siamo nel campo del cantautorato, ma le suggestioni sono molteplici. Abbiamo pensato di farci raccontare di più da Alberto. Buona lettura!

Ciao Andrea, grazie della disponibilità. Partiamo da Solo Al Sole, che mescola cantautorato italiano e americano, ma anche un retrogusto psichedelico. Come convivono queste suggestioni nella tua scrittura?

Ciao e grazie a voi di ospitarmi! Cerco di far convivere queste diverse influenze nel modo più naturale e spontaneo, anche se alla base c’è un grande lavoro e un intenso sforzo di sintesi. Ho iniziato a scrivere canzoni in inglese talmente era forte in me il fascino per la musica britannica e americana. Questo fascino non è mai scomparso, si è solo fatto da parte per un momento, consentendo così alla mia parte più italiana di prendere il suo posto per poi dare vita a quella sintesi di cui parlavo. È un’operazione già realizzata in passato dagli autori a cui cerco di ispirarmi di più, parlo di Luigi Tenco, Franco Battiato, Lucio Battisti e Pino Daniele. Loro hanno saputo dare origine ad una musica italiana ma allo stesso tempo non italiana, universale. Hanno saputo amalgamare il loro interesse per la musica straniera con il loro essere italiani. Quando parlo della mia passione per la musica in inglese non penso solo al cantautorato ma anche alla psichedelia, dagli anni 60 fino ad arrivare a quella più recente degli anni duemila, soprattutto per quanto riguarda l’uso della voce; per me deve avere quasi un valore ultraterreno, direi mistico, deve comunicare l’altrove. Cerco quindi di rinnovare quello che è stato fatto in passato, provo a far rivivere quello spirito che forse si è un po’ smarrito nel tempo. Cerco di non forzare mai la musica nei confronti della parola, cerco un equilibrio tra la parte musicale e quella delle parole, canto in italiano ma potrei farlo in inglese, questo è un po’ quello che provo a fare.

Quanto è stata importante l’esperienza live coi The Vickers per L’Albero? Incontri e concerti in Europa immagino ti abbiano segnato artisticamente e dal punto di vista personale.

Quella con The Vickers è stata un’esperienza fondamentale. Sono stata la mia band, l’unica. Grazie a quella esperienza ho conosciuto la musica live in Italia e all’estero, dai piccoli bar francesi ai festival più grandi come il Reverence Valada in Portogallo o il Primavera Sound di Barcellona. Ho potuto conoscere le realtà musicali europee, ho incontrato persone eccezionali, insomma un bagaglio umano e professionale dal valore inestimabile. Senza quella esperienza mi riesce difficile pensare a me oggi. Fare musica stando in una band è qualcosa di molto diverso che avere il proprio progetto solista, un’esperienza che consiglio a tutti i ragazzi che iniziano a suonare. Questo lo dico perché ultimamente si sta perdendo il concetto di gruppo e in generale la voglia di suonare insieme tra individui. Se c’è un potere che ha quello della musica è anche quello di essere un linguaggio che serve a comunicare ed entrare in contatto con gli altri.

credits Francesco Marchi

Ascoltando tutto il disco credo ci siano due momenti che lasciano intravedere qualche possibile evoluzione sul sound futuro. Parlo di Vengo a Prenderti e dell’intermezzo Il Mattino Ha L’Oro In Bocca.

Sono due canzoni un po’ atipiche rispetto a tutto il resto dell’album. Sicuramente nel sound che avrò in futuro ci saranno elementi di questi due brani. Entrambi i pezzi hanno elementi che amo e a cui tengo molto per il mio suono; le chitarre acustiche e il sax di Vengo a prenderti, e l’uso di sintetizzatori analogici vintage come ne Il mattino ha l’oro in bocca. Credo che nel sound futuro darò maggiore spazio ai sintetizzatori perché mi aiutano a raggiungere quelle sensazioni di ineffabilità e visionarietà che cerco di comunicare con la mia musica. Inoltre ci tengo molto perché i sintetizzatori sono presentissimi nella produzione musicale italiana degli anni settanta, è un tipo di suono che sento molto vicino. In generale credo che rimarrà in me la passione per la scrittura e la produzione di brani strumentali. Tornando per un attimo a Vengo a prenderti, il solo di sax è un mio chiaro omaggio con mia grande riconoscenza verso il lavoro di James Senese con Pino Daniele, una delle esperienze più eccitanti e creative della musica d’autore italiana. Credo che questa mia infatuazione proseguirà anche in futuro.

Per quanto riguarda i testi, c’è qualche cosa che ha influenzato la tua scrittura? Qualche film, album o libro?

Quando si è musicisti credo sia bello e importante farsi influenzare soprattutto da tutto ciò che non è musica, sembra paradossale ma per me è così. A volte può ispirarmi di più un film o un libro rispetto a un disco. Tutto quello con cui hai a che fare, dalla chiacchierata con un amico, una frase letta su un giornale, a un quadro visto da qualche parte, confluisce in quello che pensi e quindi che scrivi. Rispetto al mio primo album, nei testi di questo disco ci sono molti più riferimenti alle situazioni fisiche, i luoghi, i posti da cui fuggire (Cenere, Parlami di te, Solo al sole) i nuovi lidi a cui approdare (Volo573, Vengo a prenderti). Questi riferimenti credo derivino dalla feroce lettura che ho fatto di Ennio Flaiano, credo che il suo modo intelligente, ironico, un po’ cinico, un po’ poetico di descrivere la realtà quotidiana italiana mi abbia influenzato nella definizione di alcuni testi. Un altro autore che in qualche modo c’è nel disco è Carmelo Bene, in particolare ho letto Nostra signora dei turchi. Bene mi affascina per il suo senso di rifiuto di tutto ciò che è contemporaneo, il suo essere unico, in un’epoca di copie e di rimandi continui la sua unicità è ancora oggi stupefacente. Non posso non citare infine la poesia di Aldo Palazzeschi, fiorentino come me, e di altri poeti italiani lievi e timidi come Sergio Corazzini e Vittorio Sereni, anime sensibili, inadatte alla violenza della vita. Per lo strumentale Noia e illuminazione ho pensato molto alle musiche di Teo Usuelli per il film Dillinger è morto di Marco Ferreri e quelle di Piero Piccioni scritte per il documentario Rai/Esso degli anni settanta L’Italia vista dal cielo. Un bellissimo documentario con meravigliosi testi a cura di letterati e storici dell’arte dell’epoca. Ecco, la Rai degli anni sessanta e settanta è una di quelle cose che mi fornisce sempre un sacco di spunti, la qualità era talmente alta che non si può rimanere indifferenti!