L’importanza dei cortocircuiti con Francesco Quarna

This Is Pop? è nato in radio e nel corso degli anni sono stati molti gli addetti ai lavori coi quali abbiamo parlato di questo meraviglioso mondo. Abbiamo avuto il piacere di fare quattro chiacchiere con Francesco Quarna, che ha trovato un po’ di tempo da dedicarci tra i numerosi impegni di una tipica giornata a Radio Deejay. Buona lettura!

Linus inaugura le nuove scale del Building (Credit Radio Deejay)

Ciao Francesco, grazie della disponibilità. Partiamo da qualche passione in comune: Gilles Peterson. Cosa ti affascina di più della sua attitudine radiofonica e, più in generale, musicale?

Lo seguo da una ventina d’anni, un mio amico me lo fece conoscere quando lavoravo a Puntoradio e mi ha attirato sin da subito il suo modo di fare selezioni molto eclettiche puntando alla qualità. Riesce a creare un flusso che, come dice lui, ha l’obiettivo di “rincorrere il beat” e nel far questo capita di ascoltare pezzi che apparentemente sono buttati lì, invece hanno sempre un senso e un gusto che spiegano il ruolo del disc jockey.

A proposito di Bbc, segui qualcosa in particolare? Cosa ti piace?

Prevalentemente 6 Music e Radio 1, la prima con un target più adulto e la seconda con uno più giovane. Mi piace che puntino sulla musica, hanno una componente di scouting che è nel loro Dna e questo per un appassionato di musica è fondamentale, ma lo è soprattutto per un amante della radio, per scoprire nuovi suoni e per capire come si muove il pop, anche a livello prettamente radiofonico.

Anche il fatto di avere dei programmi che seguono una stessa linea generale ma sono molto caratteristici, ognuno con la sua riconoscibilità, è un punto a loro vantaggio.

Be’, lì i Dj fanno i Dj. Cioè: fanno i selezionatori musicali, alcuni di loro hanno ampia libertà di scelta sulle scalette musicali e ovviamente la personalità di ciascuno è rispecchiata dalle decisioni sui brani da suonare.

Riguardo alla tua esperienza di programmatore musicale, quanto è difficile trovare l’equilibrio tra il gusto personale e la “suonabilità” di un brano?

È sempre una questione di temperanza ed equilibrio. Io lascerei da parte il gusto personale perché esiste uno “stile Deejay”: chi viene a lavorare qui prima o poi impara a riconoscerlo. È indefinibile, ma se ascolti la radio te ne accorgi. Una radio come la nostra deve mediare tra questo stile e le cose che piacciono al pubblico o da classifica. Noi siamo molto fortunati perché abbiamo questa componente di ricerca che diventa ancora più importante se consideriamo che i competitor non sono più soltanto altre radio, ma anche i servizi di streaming musicale. Quindi la funzione principale diventa costruire una colonna sonora per le giornate di chi ci segue. Allora la musica deve seguire i conduttori, che sono degli artisti della parola.

Abbiamo avuto il piacere di intervistare Nikki un paio di volte e siamo sempre rimasti affascinati di come a Tropical si creassero bellissimi “cortocircuiti”. Uno in particolare l’abbiamo ricordato in una diretta: quando ci fu ospite St Vincent e nel fuorionda ci fu un bellissimo scambio di battute con lei su pedali e robe da nerd.  Credi che ci possa essere ancora spazio per queste cose?

Assolutamente. Nikki è bravissimo a portare in onda fenomeni di nicchia e renderli estremamente pop, spiegandoli e creando delle sequenze che facciano digerire anche cose più alte e difficili. Le cose avvengono e dovranno avvenire sempre in una radio come Deejay, la cosa bella è che qui le canzoni che finiscono in rotazione a volte sono inviate dalle case discografiche, altre volte sono il frutto della curiosità di Dario Usuelli, di Sabrina Perego o mia. Oltre a fare le scalette, scoviamo cose sfiziose che possono anche diventare dei successi. Diciamo che St Vincent nella programmazione è come il tartufo in un pranzo o una cena autunnale: abbiamo cucinato dei tagliolini all’uovo di musica pop e ci abbiamo aggiunto una grattata di St Vincent!

St Vincent a Tropical Pizza (Credit Radio Deejay)

In fondo, un cortocircuito è anche quello tra un approccio verticale – accanto a brani mainstream qualche pezzo di emergenti – e orizzontale, come infischiarsene un po’ dei generi. Ecco, non manca un po’ tutto questo alla radiofonica italiana?

Una radio come Deejay, che non è di flusso ma si basa sui programmi, ha queste due anime. Altre radio fanno altre scelte. Però, ti faccio l’esempio di Tropical Pizza: nasceva a inizio Duemila come programma prettamente rock e col tempo ha abbattuto tutte le barriere, facendo un salto di qualità. Cercavamo di stupire gli ascoltatori e poi rassicurarli, è come mandare un pezzo di Paul Kalkbrenner seguito da uno dei Ricchi e Poveri. Sta poi alla bravura del conduttore spiegare perché abbiamo scelto quelle due canzoni.

Qui rientra anche il discorso sulla colonna sonora che facevi prima.

Esatto, perché le canzoni giocano con le nostre emozioni e con la nostalgia. Però c’è anche una questione tecnica che ha a che fare con alcune caratteristiche del brano: non dev’essere solo “radiofonico” ma anche suonare bene in Fm.

C’era anche questa roba che le “chitarre non andavano” in quegli anni lì.

Be’ ci sono dei prodotti editoriali che hanno dimostrato il contrario. Certo, in una radio pop come Deejay ascoltare dieci canzoni con le chitarre diventa abbastanza pesante. Però i Guns N’ Roses sono sempre andati a Radio Deejay, siamo stati tra i pochi in Italia a mettere i Kings Of Leon e poi abbiamo passato spesso i Franz Ferdinand o gli Strokes. E qui torniamo al punto sull’equilibrio.

Parlando di Play Deejay, una delle idee più originali è stato il musigorgone. Da dove avete tratto ispirazione?

La paternità esatta di quest’idea non me la ricordo, ma credo sia nata come sempre in un brainstorming tra i corridoi, davanti a un caffè, tra me, Federico Russo e Walter Proserpio. È nata dal Demogorgone di Stranger Things, ma trasportata in radio. La sfida è stata fregare Shazam, perché bisognava creare un audio non riconoscibile grazie a un gioco di livelli. Sicuramente il premio in denaro ha incentivato il successo.

C’è qualche aneddoto particolare su quel gioco?

Be’ una cosa particolare riguarda Federico, che era all’oscuro di tutto tranne per la canzone che sceglieva, che rimaneva sempre l’ultima da indovinare. Era tutto vero quello che dicevamo in diretta! E poi, tutte le volte che qualcuno vinceva rimanevamo sempre sorpresi, ci guardavamo come per dire: «E adesso che si fa?». Non ci eravamo preparati nemmeno le tracce separate da mandare in onda, poi Maurino Belgieri le recuperava. Gli ascoltatori ci sorprendevano sempre.

Da quest’estate è in onda Summer Camp, un programma di tre è piuttosto difficile da costruire, soprattutto se in onda con frequenza quotidiana. 

È un esperimento di quest’estate che poi è stato portato in produzione, è nato dalla mente di Linus che ha unito queste tre anime del pomeriggio. A dire il vero siamo partiti con un grande punto di domanda, ma poi si è creata presto un’alchimia unica tale che tre ore passano velocissime. Ci divertiamo molto, perché l’ambiente è davvero quello del bar. E poi il pubblico è una parte centrale del programma, perché c’è molta interazione tramite i vocali e i messaggi.

Su tutto questo ha sicuramente influito l’impossibilità di avere ospiti in presenza. Ecco, quanto ha penalizzato – se lo ha fatto – questa assenza fisica?

Dal punto di vista umano tantissimo, perché le chiacchiere prima della diretta con gli artisti e i loro entourage sono dei momenti di forte scambio culturale e alle volte anche personale.

Chiudiamo con un off topic: com’è questa annata vinicola?

Paradossalmente, se pensiamo a che anno è stato questo 2020, molto positiva!

Be’, non ci resta che provare. Grazie Francesco!

A voi!