La genealogia di Moltheni


Torna dopo dodici anni per chiudere una parentesi importante non solo per lui, ma per tutto il circuito indipendente italiano. Abbiamo parlato con Umberto Maria Giardini in occasione dell’uscita di Senza Eredità, l’ultimo capitolo della parabola Moltheni. Buona lettura!

Ciao Umberto, grazie della disponibilità. Innanzitutto, non capita spesso di trovarsi di fronte a un’artista che sceglie di chiudere consapevolmente un capitolo della propria espressione artistica come nel caso della parabola Moltheni. Come sei arrivato a questa decisione?

Non capita spesso (praticamente quasi mai) per il fatto che nessuno in Italia è disposto a reinventarsi restando sicuro del proprio potenziale. Chi ha acquisito per forza di cose mantiene, poichè è sempre garanzia di guadagno. Io ho sempre lavorato in maniera disinteressata, dedicandomi solo ed esclusivamente alla qualità, se non altro quando mi è stato concessa l’oppurtunità di farlo. Nel 2010 ho considerato il ciclo Moltheni esaurito, non avrei potuto più scrivere sotto quello pseudonimo, oramai contaminato da elementi esterni (soprattutto musicisti e produttori) che avevano intaccato la sua natura. Ciò non vuol dire che sia stato un processo doloroso, anzi tutt’altro; fu doveroso ed equilibrato molto di più di ciò che appare all’evidenza dei fatti. Se tornassi indietro lo rifarei ad occhi chiusi, forse anche prima della raccolta finale “Ingrediente novus”.

Hanno suonato in Senza Eredità molti musicisti, quanto hanno contribuito a cesellare i brani del disco?

Le partecipazioni hanno perlopiù interessato musicisti e amici che toccarono e intaccarono con mano il progetto Moltheni. Il loro contributo è stato in alcuni episodi marginale in altri determinante, ma tutti importantissimi. Emenuele Alosi nella batteria de La mia libertà e Riccardo Tesio nel noise di Estate 1983 sono ospiti nuovi che non incrociarono Moltheni, fatto sta che la loro presenza umana e tecnica è stata così gradita. Due professionisti di altissimo livello.

Riprendere in mano demo vecchie immagino sia stato anche un lavoro emotivo, non solo una questione prettamente artistica. Puoi raccontarci com’è stato da questo punto di vista?

E’ stato molto romantico e dolcissimo. Mi sono rivisto com’ero in quegli anni e ho riscoperto una sensibilità davvero ingenua e toccante. Tutto è stato il riflesso di quel periodo fantastico, passato ma non per questo estinto. la buona musica non ha tempo perché si rinnova attraverso esso vivendo della propria luce. Mi sono dovuto concentrare per molti mesi e reimmergendomi in quelle sensazioni; è stata una ricerca abbastanza lunga ma mi sono divertito soprattutto quando sono entrato in studio. Bruno Germano che ha prodotto il lavoro mi ha dato un enorme mano. Davide Cristiani che l’ha mixato ne ha esaltato la sua semplicità e bellezza.

Il concetto espresso dal titolo del disco è piuttosto emblematico, eppure il progetto Moltheni ha influenzato gran parte dei artisti alternativi italiani. Come vivi questa ‘responsabilità’?

Non lo so. Distrattamente mi accorgo dell’influenza che ho trasmesso a svariati cantautori anche più conosciuti di me, ma non è un fattore importante. Non la sento come una responsabilità, sono e resto distaccato da tutto ciò che accade musicalmente la fuori, quindi non ne scaturisce nessun peso ne nessun godimento particolare.

Avida Dollars

Nel corso della tua carriera hai avuto modo di collaborare con tanti artisti, c’è qualche incontro che ti ha particolarmente segnato dal punto di vista artistico?

Di sicuro porto con me tutti gli insegnamenti raccolti dall’esperienza con Carme Consoli che considero una lavoratrice della musica assoluta. Non da meno e forse più profonda è stata quella con Alberto Ferrari, ma anche con i miei meno conosciuti collaboratori. Ho attinto tanti insegnamenti da coloro che mi hanno prodotto e aiutato come Maurizio Nicotra, Giacomo Fiorenza, Chris Stamey, Luca Tacconi, Andrea Scardovi, Davide Cristiani e soprattutto Antonio “Cooper” Cupertino con il quale ho sviluppato nel tempo anche un amicizia profonda. Tanto ho imparato anche dai musicisti che si sono susseguiti nel tempo, come Salvatore Russo, Gianluca Schiavon, Marco Marzo Maracas, Giovanni Pamreggiani, Cristian Franchi, nonchè da Paolo Narduzzo con il quale lavoro h24 da pochi anni. Senza tutti coloro che ho citato non sarei quello che sono.

E da quello umano?

Artisticamente mi hanno segnato tutti, umanamente anche di più. Anche con coloro che per varie circostanze e contrasti non mi sento più sono, mantengo un ricordo indelebile e amichevole. Tutti hanno dato tanto, tutti sono stati importanti.

Grazie!

Grazie e un abbraccio da parte mia.