Tra vinili e parole con Tommaso Toma

Abbiamo fatto il punto della situazione sull’editoria e sul panorama musicale italiano con Tommaso Toma di Billboard Italia. Buona lettura!

Ciao Tommaso, grazie della disponibilità. Unire la passione per l’alternative rock alle esigenze editoriali di una rivista come Billboard non dev’essere semplice. Eppure, già dai primi numeri da te diretti, questi due aspetti – uno più indipendente e un altro più mainstream – convivono in perfetto equilibrio. Quanto hanno contribuito la radio e djing in tutto questo?

Ti rispondo con franchezza: non è vero che non è stato semplice mediare la mia passione personale con l’esigenza editoriale. Anzi, francamente molto divertente. Una delle cose che mi ha insegnato il Djing negli anni è stato il principio della curiosità. Non essendo stato un Dj che ha fatto parte di una scena – eccetto i miei esordi, dove mi ero imposto come Dj di musica indie tra il 1993 e il ’97 – ho sempre subito il fascino delle nuove scoperte, passando per una vera e propria infatuazione per l’elettronica – tra il 1987 e i primi anni Zero – e poi mi sono più visto negli anni come un selecter che voleva far ballare con brani di qualità, pescando dal rock’n’roll primitivo fino alle cose contemporanee. Oggi mi diverto nuovamente a suonare musica indie per esempio, ma è grazie a Karmadrome. Son tornato da dove avevo iniziato…

Ecco, ti faccio un esempio lampante di quanto mi senta spesso a disagio con i “colleghi” che si mettono la targhetta “I Am A Dj” (ride, ndr): la volta che mi sono più divertito a suonare per far ballare, è stato assieme a Randall Poster, forse il music supervisor più di culto per il cinema USA. Il disturbo narcisistico della personalità è uno degli effetti che maggiormente mi ha irritato negli anni dei Dj mediocri, intendo dire quelli che non hanno un substrato culturale, che vada al di là della loro “passioncina” per un genere, per una scena musicale… E così, ho un poco trasposto questa mia attitudine anche nell’ambito giornalistico , ogni volta che sono entrato in una nuova redazione, ho sempre ascoltato tutti e qualche volta mi sono anche ricreduto su certe opinioni che mi ero fatto su un artista o una scena, basta solo che l’interlocutore abbia la capacità di spiegarti con limpidezza la sua posizione. Ed è questo che deve venir sempre fuori secondo me nel lavoro di un giornalista musicale, il suo talento è scrivere con una limpidezza di pensiero, utilizzando possibilmente un linguaggio elegante ma accessibile e che sappia pescare da diversi ambiti culturali, dall’arte al cinema per esempio. Tu pensi che sia una cosa facile? No assolutamente, e la vastità digitale aiuta ma fino a un certo punto.

Per quanto riguarda la radio… Da sempre è il mio grande amore e ringrazio immensamente Radio Popolare per avermi sempre accettato sin dal primo momento – era il 1991 – e ho sempre avuto carta bianca. Una cosa impossibile oggi altrove. Ma penso altresì che non ho sfruttato fino in fondo la mia voce assolutamente radiofonica e questo è un enorme peccato. Vediamo nel futuro. Considera che c’è anche il panorama del podcast…

Dal punto di vista prettamente musicale, invece, come ti sembra il panorama italiano?

Assolutamente in fermento, il consumo di musica made in Italy negli ultimi anni, come ben sai, è fortissimo, e in ogni scenario di genere assistiamo alla nascita di nuovi piccoli talenti. Ecco, manca il “genio”, colui che rompe totalmente gli schemi e dica qualcosa di nuovo musicalmente e liricamente. Il problema è che nella società dell’immagine, il messaggio iconografico prevalica su quello sonoro. Ma questo è un segno dei tempi.

Al di là delle implicazioni drammatiche legate alla pandemia, c’è qualcosa che miglioreresti all’interno della filiera musicale legata alla comunicazione?

Come dicevo prima, mi augurerei una maggiore preparazione culturale generale di chi scrive e parla di musica.

Trovo che un modo per valorizzare il cartaceo in un ecosistema editoriale in crisi sia trovare una sinergia tra fisico e digitale. Probabilmente, però, la differenza maggiore rimane legata ai contenuti: non solo la scelta, ma anche il taglio e il punto di vista coi quali veicolarli al lettore. In tal senso, come ci si raccapezza in un periodo di sovraccarico informativo come quello in cui viviamo?

Questa è una bellissima domanda e chi risponde bene con i fatti vincerà nel futuro. Noi intanto ci stiamo provando, facendo da una parte una rivista curata in ogni dettaglio che è on digital e su richiesta in formato cartaceo. Devo davvero ringraziare Silvia Danielli e l’ottimo Federico Durante che ha peraltro diretto il magazine dal debutto fino a ottobre di quest’anno, senza dimenticare tutti i nostri collaboratori, persone magnifiche e competenti. E dall’altro versante – ricordandoci che siamo sempre un unica identità (ride, ndr) – c’è un curatissimo lavoro editoriale nella sezione video per le nostre piattaforme e devo dire che Matteo Fabbroni, il nostro head of content è diventato sempre più bravo. Confido che il lavoro di questa grande squadra si toglierà delle ulteriori belle soddisfazioni prossimamente. Leggerete e vedrete.

In redazione sarete sommersi di promo digitali. Vi capita di ascoltare ancora musica su supporto fisico?

Io sono in questo caso davvero “vecchio stile”… Amo il supporto fisico, se fosse per me i promo dovrebbero essere tutti in vinile! Ma non siamo più negli anni ’80 e che indivia per i giornalisti di quell’epoca… Detto ciò i promo digitali sono essenziali nel nostro lavoro. Mentre nel tempo libero il Cd e in vinile imperano.

C’è un qualcosa che vorreste rubare altrove per proporlo in Italia? Qualche format o iniziativa?

Tanti format, ma non posso ovviamente svelare nulla al momento!