Da anni ormai i comunicati stampa degli artisti musicali mettono in primo piano i record di ascolti sulle piattaforme di streaming, una vera e propria guerra di numeri che ogni giorno ci consegna nuovi primati e campioni.
Ma, come spesso accade, non è tutto oro quello che luccica. Da tempo si parla dell’annoso problema degli streaming illegali, una pratica semplice che con qualche click e una carta di credito ti permette di aumentare in un lasso di tempo più o meno breve gli ascolti di un tuo brano. Generalmente, i siti che offrono queste possibilità fanno scegliere tra vari pacchetti che si differenziano per numero di streaming e, spesso, nazionalità degli ascoltatori.
Lo stratagemma attira molti artisti emergenti, convinti che, con un investimento più o meno oneroso, una maggiore visibilità possa garantire anche un contratto con un’agenzia di booking o un’etichetta discografica. Per quanto possa essere discutibile, fin qui il quadro non desterebbe particolari sorprese. Però, il risultato di uno studio del Centre National de Musique (CNM) in Francia, reso noto nel gennaio 2023, ha dimostrato che i flussi d’ascolto fraudolenti del paese variano tra l’1% e il 3% del mercato totale del 2021.
Il fenomeno non riguarda una sola piattaforma streaming e, anche se le percentuali possono sembrare basse, interessa fino a tre miliardi di flussi. Il numero, però, riguarda solo gli streaming individuati dalle piattaforme ed eliminati. Ergo: i dati potrebbero essere più alti. Anche perché alcune piattaforme come Amazon Music, YouTube e Apple non hanno fornito tutti i dati in loro possesso.
Con le debite proporzioni, l’1% e il 3% degli streaming in Francia equivalgono a cifre che oscillano tra i 5 e i 15 milioni di euro del fatturato e queste, rapportare al mercato globale, corrispondono a una forbice che va dai 169 e i 507 milioni di dollari.
Poco tempo fa è circolata una notizia riportata dal sito Music Business Worldwide e riguardante la Universal, una delle grandi case discografiche, che parla di una nota interna del Ceo Lucian Grainge risalente all’inizio di gennaio 2023. Nel documento viene chiesto di introdurre un nuovo metodo di pagamento delle royalty dei servizi di streaming in quanto l’attuale avvantaggia tre categorie: «Attori fraudolenti», «artisti finti» e «musica funzionale».
Se la seconda espressione è piuttosto immediata, la prima si riferisce a tutti quegli utenti che si affidano ai servizi di streaming falsi, mentre l’ultima riguarda tutti quei brani caricati sulle piattaforme di streaming appositamente per generare flussi. Per esempio, Spotify conteggia uno streaming al raggiungimento del trentesimo secondo di ascolto, quindi basta creare un disco con più canzoni della durata di trentuno secondi per aumentare la propria performance.
A denunciare questa pratica è stato anche l’artista nigeriano Daniel Benson, conosciuto come Bnxn e, precedentemente, Buju. Nel novembre 2022, attraverso il suo account Twitter il musicista ha raccontato: «In Nigeria ci sono ormai delle “Streaming farm”. Posti in cui i boss della vostra etichetta pagano per far sì che le vostre canzoni scalino le classifiche in automatico, niente veri fan, niente persone vere, solo una facciata. Fate sanguinare le persone che lavorano davvero per questo e il vostro giorno sta per arrivare».
Ma la pratica sembra non riguardare soltanto gli artisti emergenti, come dimostra il “caso TIDAL” del 2018. Ovvero, quando il numero degli abbonati e quello degli streaming di Life of Pablo di Kanye West, inizialmente disponibile in esclusiva soltanto sulla piattaforma comprata da Jay Z – così come era successo due anni prima con Lemonade di Beyoncé – hanno avuto delle sospette impennante. Tanto che, numeri alla mano, ogni abbonato TIDAL avrebbe ascoltato in media l’album di West otto volte al giorno.
Prima ancora del problema legato al sistema delle royalty, c’è un’altra questione più lampante. Ne parla Eric Drott della University of Texas at Austin nel suo saggio Fake Streams, Listening Bots, and Click Farms: Counterfeiting Attention in the Streaming Music Economy. Le piattaforme di streaming hanno le loro playlist ufficiali, seguite da milioni di utenti; megafoni capaci di aumentare di molto la visibilità di artisti ancora poco conosciuti. L’assunto di Drott è che, se il requisito minimo per essere presi in considerazione è aver «già accumulato un certo livello di base di attenzione», allora è naturale il venire a formarsi di un «mercato grigio» che fornisca mezzi per raggiungere quella soglia attraverso fan, ascolti e altri criteri utili al fine.
Fernando Rennis