Oscar Wilde scriveva che o si è un’opera d’arte o la si indossa. Viv Albertine è una delle poche persone in cui le due cose coincidono: una spiccata passione per la moda, una breve e folgorante carriera in una delle band tutte al femminile più famose della musica e una vita davvero punk basterebbero a incendiare il suo memoir “Vestiti Musica Ragazzi”, pubblicato da Blackie Edizioni e tradotto da Paola De Angelis.
In realtà, Albertine ha vissuto più vite. A metà degli anni ’70 eccola nel momento giusto al posto giusto: una Londra scheggiata dalla detonazione del punk. Forma i Flowers of Romance con un altro protagonista indiscusso dell’epoca, Sid Vicious, mentre Mick Jones dei Clash è il suo ragazzo. Veste le creazioni di Vivienne Westwood, sposa a pieno l’estetica e l’etica punk, tanto da entrare nelle Slits, band che esercita ancora oggi un’influenza rilevante, non solo nel campo musicale.
Cambio di scena. Con gli anni ’80 arriva una fase di smarrimento e Albertine si reinventa prima insegnante di aerobica e poi filmmaker per Tv e cinema, diplomandosi al London College of Printing. Arrivano l’amore e la convivenza con un illustratore che si divide anche tra il surf e il motociclismo, ma non è tutto rose e fiori: due aborti, un matrimonio che va a rotoli e un tumore segnano la giovane Viv diventata ormai donna. Per fortuna che c’è la musica, e sua figlia Vida.

Leggendo “Vestiti Musica Ragazzi” si ha l’impressione che conservi tutt’ora un’attitudine punk.
Il fatto è che ho sempre avuto un’attitudine ‘punk’, anche se quando non mi chiamavano così, ma ‘disturbante’ e ‘fastidiosa’! Quando un gruppo di persone che la pensavano come me si è riunito negli anni Settanta, abbiamo rafforzato le nostre attitudini e ci siamo influenzati a vicenda. Non ci siamo mai definiti punk. Cercavamo di evitare le etichette perché pensavamo che fossero un modo per liquidare le persone e metterle in una scatola. Quando i media ci chiamavano punk, ormai era tutto finito.
Hai superato momenti davvero difficili e, dal libro, sembra tu l’abbia fatto con determinazione, forza e anche un po’ di sarcasmo.
Ho attraversato diversi momenti difficili, spesso dovuti al fatto di aver corso molti rischi. Se vai sul sicuro, è probabile che incontrerai meno fallimenti, che commetterai meno errori e che le cose andranno meno male, ma che vita noiosa! Il mio atteggiamento nel corso della mia vita, dall’età di circa tredici anni, è stato abbastanza coerente e anche se a volte vorrei aver preso una strada più facile e meno abrasiva – e non augurerei la mia vita a mia figlia. Non avrei potuto fare diversamente. Devo continuare a essere ‘punk’ perché non è qualcosa che ho adottato, è come sono sempre stata.
Suonare in un periodo in cui la musica era intesa come roba per soli uomini è stato davvero potente.
A volte mi chiedo come ho avuto il coraggio, o anche solo l’idea, di prendere in mano una chitarra elettrica e suonare in una band quando ero una semplice ragazza della classe operaia, non avevo mai visto una donna che potessi considerare un modello in questo senso, e, inoltre, non sapevo cantare o suonare uno strumento.
Dal libro emerge tutto questo ma, allo stesso tempo, c’è anche la consapevolezza del tuo ruolo di donna.
A diciassette anni conoscevo bene il femminismo, quando le donne ne scrivevano e ne parlavano molto – si trattava della seconda ondata del femminismo. In quel periodo frequentavo anche la scuola d’arte ed ero entrata in contatto con la sua capacità dirompente, che mi attraeva molto: combinando Dada, la pop art, l’arte concettuale e performativa e la musica con il femminismo e la rabbia di mia madre per le sue ambizioni frustrate, avevo tutte le carte in regola per far parte di un gruppo punk.
Quanto è ancora importante oggi ribadire la libertà e l’indipendenza fisica ed emotiva delle donne?
Ci sono ancora situazioni in cui nel Regno Unito le ragazze sono oppresse, ci sono contesti in cui in altre parti del mondo alle ragazze non è permessa l’istruzione. Ci sono paesi in cui le donne non hanno quasi nessun diritto: finché ci saranno donne e ragazze oppresse in qualsiasi parte del mondo, sarà sempre importante difendere i loro diritti e la loro uguaglianza. Nessuno è libero finché non siamo tutti liberi.
A cinquant’anni da quegli eventi, cosa è rimasto del punk al giorno d’oggi?
Le magliette dei Ramones da Primark.
Tutto qui?
Assolutamente.
Parlavi prima dell’arte, tu ne hai esplorato parecchie forme.
Cambio spesso medium. Spesso è stato un ostacolo, perché non sono mai diventata veramente brava in nulla e non vengo notata dall’establishment dell’arte. Mi sono immersa nell’arte: moda, cinema, ceramica, libri e ho sempre mantenuto una certa freschezza e crudezza, non essendo mai troppo brava in nulla. Ti avvicini al tuo lavoro in modo diverso, in un modo che una persona che ha un master in scrittura o in musica non potrà mai fare, se non sei troppo istruita. Sono gli autodidatti che rompono gli schemi.
E, allora, Viv Albertine cosa vuole fare da grande?
Al momento preferisco scrivere e dipingere, mi si addice di più, mi piace la forma lunga e la concentrazione necessaria. Non sarei riuscita a concentrarmi abbastanza a lungo per scrivere un libro quando avevo vent’anni: una canzone di 3-4 minuti era tutto quello che riuscivo a fare allora. Ora penso che sia positivo il fatto di essere stata abbastanza coraggiosa da seguire la mia strada e continuare a cambiare, anche se la società ai miei tempi non tollerava i cambiamenti e rischiavi la povertà se non avevi genitori ricchi. Ho dovuto ricominciare da capo e questo ha mantenuto vivo il mio lavoro.
Fernando Rennis